/Liberiamoci dal debito

Liberiamoci dal debito

Webinar pubblico del 17 Aprile 2020 – Organizzato da Rete Nazionale Beni Comuni Emergenti e ad Uso Civico – Con Marco Bersani e Andrea Baranes

Perché ci mancano i soldi per i servizi pubblici?
Perché lo stato non può sostenere il reddito e l’occupazione?
Per trovare le risorse è necessario indebitarsi? Ci sono degli strumenti alternativi?
Un incontro pubblico per capire i meccanismi che contribuiscono alla creazione del debito pubblico e che impediscono la corretta gestione dello stato, dei servizi sociali, del welfare e rischiano di rendere permanente la crisi economica e l’impoverimento della popolazione.
A partire dalle nostre reti, ma con uno sguardo più ampio, riflettiamo su cosa può fare l’Europa e come è possibile ripensare dalle fondamenta il sistema finanziario per consentire una ripartenza dell’economia in maniera sostenibile, in senso economico, sociale e ambientale
Per ulteriori informazioni, scrivi a benicomuni.incomune@gmail.com

Segue audio completo del webinar e estratto testuale

Presentazione della rete nazionale dei beni comuni

Nasce da una rete di realtà che si sono confrontati per una gestione e riappriopriazione dei beni comuni, un soggetto informale che conta circa 60 realtà.

E’ il quarto webinar che viene organizzato come autoformazione.

Cerchiamo di capire come riprendersi la libertà democratica di spendere le risorse dello stato negli ambiti che risultano essere prioritari e importanti.

Marco Bersani di Attac Italia ci parla soprattutto del debito e della spesa pubblica sul piano interno

Andrea Baranes di Banca Etica soprattutto del livello europeo

Marco Bersani

Contrastare la pratica del debito si deve inserire in una serie di lotte fondamentali come quella della finanza.

E’ una trappola artificialmente costruita per proseguire la politica neoliberista e di sfruttamento.

Naomi Klein la definisce la Shock Economy. Siamo stati immersi in 30 anni di dottrina liberista iniziata con la tecnologia e proseguita con la globalizzazione.

In 30 anni di dottrina liberista la narrazione dominante nata sull’onda di una serie di innovazioni senza precedenti (informatica, trasporti, automazione ecc) degli anni 70, che hanno dato il via alla globalizzazione dell’economia, in cui la produzione viene separata dai confini geografici e amministrativi.

Si è creato un arricchimento senza prcedenti in una parte minoritaria del pianeta che in due decenni ha raggiunto livelli mai raggiunti prima (a discapito dell’altra metà). La “favola” narrava che grazie all’innovazione avremmo creare un unico grande mercato come unico regolatore sociale capace di creare un’enorme ricchezza che a cascata avrebbe portato benessere per tutti, pur senza diminuire le disuguaglianze sociali (che non è mai stato un obiettivo del capitalismo). Questa è la favola che ci hanno raccontato alla fine degli anni 70, ed è entrata in crisi già alla fine degli anni 80 in quanto si è realizzato tutto tranne l’ultima parte: la ricchezza è aumentata con effetti pesanti sul sistema naturale/ecologico ma non c’è stata nessuna redistribuzione sociale. La stragrande maggioranza del pianeta era stata tlamente impoverita da non poter comprare nessuno dei beni prodotti mentre la parte minoritaria nell’arco di due decenni aveva comprato tutto il comprabile saturando il mercato: ci hanno convinto a cambiare auto e smartphone in due anni ma c’è comunque un limite (nessuno ne comprerà 10). 

Questo modello quindi trova naturalmente un empasse, raggiunto negli anni 80 e superato finanziarizzando l’economia e trovando altri metodi per creare profitto. Se non posso fare profitti vendendo merci li poss fare scambiando denaro. Senza entare nei dettagli, il processo si è rivolto a: privatizzazione del sistema finanziario, liberalizzazione dei capitali (e concorrenza fiscale fra stati) dove l’area della finanza ha raggiunto proporzioni folli. Il commercio fra stati è pari a 20.000 mrd $ l’anno, che nei mercati finanziari si scambiano in 5 giorni. La maggior parte delle transazioni non ha connessioni con l’economia reale (il 99% circa).

Il modello capitalistico ha fato sovraprofitti che ha consentito di posticipare la sua crisi di 25 anni, fino alla cirisi economico finanziaria del 2007 annunciata da una serie di crisi finanziarie che vanno dal default de Messico in avanti. Bolle finanziarie che esplodendo hanno prodotto anche pesanti effetti sull’economia reale. 

In questa fase l’enorme fase accumulata sui mercati finanziari deve essere almeno in parte reinvestita ìnell’eceonomia reale, sia per fermare il continuo esplodere di bolle, sia per accumulare valore. Ora però ci troviamo davanti al dilemma degli anni 80 ma in maniera ancora più drammatica, con una sperequazione mondiale ancora più grande. Questo necessita investire la ricchezza accumulata creando ulteriore sperequazione: la sanità, l’istruzione, possono diventare ulteriori mercati in cui trovare ulteriori occasioni di profitto per il capitale. Quello che quindi era fuori mercato perché era un diritto garantito diventa una merce venduta soltanto a chi se la può permettere. Se la salute non è un diritto e un bene comune ma un bene economico qualcuno morirà mentre chi se la può permettere pagherà per curarsi. Inoltre per farvi comprare le automobili devo spendere in pubblicità, nessuna spesa di marketing per farvi consumare acqua e istruzione.

Ma se attacco diritti e beni comuni limito le libertà democratica e quindi non posso continuare a raccontare la favola degli anni ’70: diritti e il benessere si restringono per ampie fasce di popolazione. 

Se la domanda fosse diretta la risposta politica dei cittadini sarebbe unanime e negativa. Ma se invece il sistema crea dei pericoli comuni giocando su shock e paure (trattando i termini economici in termini emergenziali e comunicando costantemente un senso di pericolo), si crea lo shock, l’isolamento sociale aumenta e si crea una cultura dominante in cui chi aderisce ha qualche possibilità di salvarsi. 

La trappola del debito è una delle armi più significative che si basano su questa narrazione:

– La colpevolizzazione dei cittadini: abbiamo vissuto sopra le nostre possibiltià, spendendo più di quanto potevamo. 

– Il senso di pericolo e di emergenza: le facoltà di Padova e Verona nel 2010-11 hanno fatto uno studio sugli articoli di giornale: l debito piovuto come una catastrofe naturale con due obiettivi: decolpevilizzare le classi dirigenti e colpevolizzare i cittadini (“abbiamo speso più di quanto potevamo”, “non ci siamo comportati come il buon padre di famiglia”, “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità”. Oppure utilizzando la metafora sanitaria della malattia: quando siamo malati ci si rivolge agli specialisti che ci prescirivono una ricetta

Fino al 1981 il rapporto debito/pil era < 60%, considerato come stabilità finanziria.

Nel 1992 era al 122% (raddoppiato). Cosa è stato? Lo spreco? Craxi? Ma la spesa pubblica italiana non è aumentata significativamente in quel decennio ed è passata dal 42.1 al 42.9% del PIL, mentre la media europea è stata 45.5 – 46.7% nello stesso periodo (47.7-48.8% per i paesi dell’euro). Sia in senso assoluto che di aumento relativo abbiamo speso meno degl altri. Dal ’90 a oggi l’avanzo primario è sempre stato raggiunto (con rare eccezioni). Cioè lo stato ha speso meno di quanto ha incassato. Il debito è aumentato perché la Banca di Italia ha smesso di comprare i titoli pubblici dello stato mantenendo basso il tasso sul debito. Da quando la Banca di Italia si è resa indipendente dallo stato la collocazione di ultima istanza non è più stata garantita e i titoli di stato hanno raggiunto tassi del 20-22%.

Nonostante l’avanzo primario di ogni anno da quasi 30 anni dobbiamo pagare gli interessi sul debito e ci dobbiamo indebitare ancora per pagarli e restiamo prigionieri della trappola del debito.

Debito di 2300 miliardi, ma abbiamo pagato quasi 4000 miliardi di interessi dal 1980 ad oggi, e il debito non è diminuito. Ogni anno il cappio intorno al collo del debito fa un altro giro… 

Perché se le politiche per ridurre il debito pubblico annunciate e messe in campo hanno avuto come obiettivo la riduzione della spesa degli enti locali quando questi contribuiscono al debito pubblico nazionale in modo irrrisorio? Gli enti locali producono solo l’1,8% del debito pubblico, eppure: patto di stabilità interno, riduzioni della spesa corrente, taglio alle spese sociali ecc.

L’elemento ideologico viene fuori chiaramente in uno studio della Deutsche Bank del 2011 che scive alla UE per dire cosa avrebero dovuto fare Spagna, Portogallo, Grecia e Italia per ridurre il debito (senza considerare che la crisi è stata provocata da loro, è come se Dracula dicesse cosa fare della raccolta di sangue….). Il capitolo che riguarda l’Italia dice: l’Italia ha una ricchezza collettiva gigantesca di 571 miliardi di euro in mano agli enti locali. Si tratta di territorio, servizi pubblici locali, beni comuni che vanno mmonetizzati e messi sul mercato per rientrare dal debito. Quindi ci è stato imposto di mettere sul mercato i servizi, i beni comuni, i diritti ecc.

Questa trappola va interrotta ed è ingovernabile.

Oggi spendiamo per il detibo circa 70 miliardi l’anno (variabili fra 60 e 90). E’ la terza voce del nostro bilancio dopo previdenza e sanità. Spendiamo più interessi sul debito che nell’istruzione.

Gli opinionisti e i politici esultano perché il PIL cresce o diminuisce di +/-0.01%, ma non sono assolutamente sufficientei per ridurre il debito. Per farlo bisognerebbe che il PIL crescesse di almeno il 4% (in questo modo aumenterebbero i redditi delle imprese e quindi
anche il prelievo fiscale consentendo di ridurre minimamente il
debito dopo aver pagato gli esosi interessi).

Ma un aumento del PIL del 4% era impensabile già prima della pandemia per il Covid19.  Quindi adesso va interrotta questa trappola, oppure la trappola del debito verrà utilizzata come muro ideologico per respingere qualsiasi rivendicazione (sociale, politica, dei beni comuni).

Andrea Baranes

La crisi del 2007 si è innescata su un sistema di diseguaglianza sociale creato dal sistema economico, la finanzia aveva concsentito di ritardare questa crisi indebitando le famiglie, sovarindebitate con i mutui sub-prime che hanno consentito di usare la casa come un bancomat per ottenere ulteriore credito per la crescita artificiosa dei consumi. Quando poi i mutui sono diventati insostenibili è scoppiata una bolla che ha travolto tutto il sistema finanziario mondiale. 

Il problema è anche che i rendimenti finanziari richiesti da risparmiatori e invesitori sono più alti dei rendiemnti quello che l’economia può creare, anche per questo si creano bolle finanziarie che contribuiscono a drenare risorse dall’economia reale e spostamento di ricchezza dal pubblico al privato (viceversa per i debiti e le perdite).

Negli anni 90 non si parlava di spread, dal 95 al 2008 il rapporto debito / pil è sempre sceso, per quanto abbiamo pagato una montagna di interessi, il debito è passato dal 120 al 104% del pil (quini non abbiamo vissuto “sopra le nostre possibiltà”). Dopo la crisi finanziaria è schizzato di nuovo alle stelle e ora siamo al 130%. Il motivo non è la spesa pubblica (non abbiamo costruito nuovi ospedali purtroppo) ma il disastro della finanza privata che ha trascinato anche i conti pubblici. Le banche si sono trovate con risorse fresche a basso costo e gli stati hanno sostenuto il peso del risanamento con onseguenze sulle plitiche di austerità con tagli alla sanità e all’istruzione, per “restituire fiducia ai mercati”.

Il Fondo salvastati è nato nel 2011-2012, (simile al FMI come funzionamento, “Fondo Monetario Internazionale” ribattezzato “Fame Miseria e Inflazione”, che ha creato enormi danni ai paesi del Sud del mondo). In cambio del “sostegno” finanziario viene chiesto perentoriamente di non investire in istruzine, beni pubblici, servizi sociali ma di tagliare la spesa pubblica per restituire i prestiti contratti. 

Si dice ora di poter ottenere 36 miliardi senza condizioni. Il dettaglio che non si dice è che le condizioni del MES possono essere cambiate in corsa su richiesta di una maggioranza qualificata del consiglio e su proposta dei membri. Passata la fase acuta dell’emergenza possono quindi imporci pesanti condizioni.

Inoltre anche se il MES fosse davvero un ottimo strumento è considerato l’ultima ciambella di salvataggio e tutti gli altri investitori scappano con una corsa alla vendita dei titoli pubblici provocando ulteriore aumento di interessi [lo stato dovrebbe garantire tassi più alti per assicurarsi le stesse risorse in prestito] che salirebbero alle stelle. Contestualmente sul grosso del debito pubblico vedremmo schizzare gli interessi verso l’alto.

Prima del cd “divorzio fra Bacnca di Italia e Tesorio”, fino ai primi anni 80 il ministero emetteva titoli di stato e tutto quello che eccedeva il 3% veniva comprato dalla Banca di Italia calmierando gli interessi. Mentre Reagan abbatteva i controlli sui movimenti di capitale negli USA noi abbiamo risposto con questo provvedimento alla dilagante ideologia del neo liberismo. Aspetto che ha effetti su qualsiasi disequilibrio finanziario.

Se volessimo fare qualcosa di diverso si potrebbe fare qualcosa che alcuni stati fanno: la BCE potrebbe comprare i titoli di stato italiani sul mercato primario (al momento dell’emissione). Ora può farlo solo su quello secondario, continuando di fatto a finanzire le banche. Nel 2008 le emissioni monetarie sono rimaste bloccate all’interno del sistema finanziario [anzichè andare a finanziare la ripresa], cresciute di 17000 mrd di euro a fronte di 19000 mrd di investimenti in titoli pubblici a tasso negativo (cioè che non hanno trovato un rendimento). Questo significa che c’è stato un eccesso moneta nel mercato finanziario, a fronte di una scarsità nell’economia reale.

Inoltre l’indebitamento va valutato anche rispetto a:

    – destinazione del finanziamento -> se investimento di lungo periodo, quale sostenibilità è capace di creare (ecoomica, sociale, ambientale)

    – condizioni applicate -> altre modalità di reperimento.

Anche ora si parla di come trovare i soldi ma non su cosa vogliamo farci, mentre adesso è fondamentale concepire una politica industriale, economica, sociale e ambientale molto diversa.

Domanda: cosa è possibile fare per ridurre il carico degli interessi nel sistema finanziario europeo da cui dipendiamo? E’ possibile che lo stato debba dipendere dai mercati speculativi? Non ci sono altri meccanismi possibili per utilizzare queste preziose risorse per quello di cui c’è bisogno?

Andrea: lo statuto della BCE impedisce l’acquisto dei titoli sul mercato primario, ma la Banca di Inghilterra e quella USA (FED) lo stanno facendo. Gli acquisti sul mercato secondario hanno solo creato disponibilità per il sistema finanziario.

La BCE potrebbe finanziare molti aspetti, non è una questione di difficoltà tecnica ma di spazio politico. Si aprono spazi ma sempre legati all’eccezionalità. Gli operatori finanziari giocano comAndrea: unque un gioco primario.

Marco: ci sembra che tutto sia impossibile ma lo stesso patto di stabilità è stato sospeso. Il loro obiettivo non è costruire un altro modello sociale ma farci indebitare per poi strozzarci. In realtà si può fare tutto, il problema sono i rapporti di forza che costruiamo nella società. Se ci fosse mobilitazione sociale sulle politiche della banca centrale le cose cambierebero. Già ora la BCE può finanziare istituzini finanziarie pubbliche. Ma se si usassero già gli strumenti finanziari oggi sarebbe possibile tornare poi all’austerity e le persone capirebbero che non siamo dentro a qualcosa di oggettivo ma in una situazione creata per l’interesse di qualcuno.

La Commissione ONU del diritto internazionale ha riconosciuto il principio per cui in caso cause di forza maggiore e cambiamento sostanziale delle crcostanze, gli stati possono dichiarare l’annullamento del proprio debito. Quindi si potrebbe sospendere il pagamento delgli interesis per 3 anni chiedendo alla BCE di fare da garanzia. Avremmo risorse da risparmiare e da utilizzare per mettere in campo un nuovo modello economico socialmente e ecologicamente orientato. 

Ieri è uscito un doc di 109 economisti diretto alla UE che chiedono che la BCE smetta di essere indpendente e che possa finanziare direttamente gli stati. La maggior parte di questi sono economisti main stream che fino all’altro ieri professavano l’esatto contrario e che ora dicono cose apparentemente rivoluzionarie (e fino a ieri bollate come utopiche). Quindi niente è intoccabile, la nostra può e deve diventare una causa che coinvolga tutta la società. 

Poi tutte le esperienze alternative (moneta locale ecc) sono praticabili, ma non credo che sostituiscano il problema sistemico. 

La pandemia infatti ha accelerato il contagio agganciandosi alla velocità dell’economia e della logistica (persone, merci e capitali: manager, lavoratori della logistica, turisti hanno diffuso il contagio). Si deve ora trovare una territorialità e un’economia basata sullo scambio locale. Quindi anche le monete complementari e altre pratiche professate timidamente possono diventare pratiche diffuse. Il tutto dipende dalla consapevolezza che costruiamo dentro la società.

Andrea: in Italia è stata bloccata la vendita allo scoperto dei titoli italiani, cioè di vendere qualcosa che comprerò al momento della vendita speculando al ribasso. Quello che sembrava impossibile oggi è passato. 

L’economia non è una scienza esatta e le sue regolo non sono scritte sulla pietra. La tassa sulle transazioni finnzarie (Tobin tax) proosta da Attac dopo la crisi del 2008 la Commissione la ha proposta (anche se poi è rimasta bloccata). Con una tassa sulla compravendita le operazioni che creano volatilità sarebbero scoraggiate.

Così come i paradisi fiscali… tutta questione di volontà politica. 

Tutto sembra legato all’emergenza, il nostro sforzo deve essere aprire degli spazi di confronto permanenti.

Domande:

Domanda (Gennaro): quali possibilità ci sono in Europa per parlare di azzeramento degli ineressi, controllo del movimento dei capitali, provvedimenti per limitare la speculazione soprttutto nel mercato finanziario.

Annullare il debito potrebbe essere il punto di arrivo ma ci sono anche queste forme intermedie che potremmo proporre.

Inoltre cosa si può fare per riportare la finanza a forme di organizzazione del finanziamento su base locale. Che ruolo possono avere gli enti ocali nella ripartenza?

Che tipo di interazione è possibile con l’economia locale? Come possono essere messi in condizione di spendere? 

Ad esempio sarebbe possibile mettere in campo  meccanismi  partecipati  dalle collettività  di co-produzione e Co-servizi con interventi di Finanza etica e finanza pubblica (anche auto organizzata localmente)?

Altra domanda (Laura): quali possono essere le leve politiche per convincere gli stati a prendere provvedimenti per eliminare questa trappola e all’eliminazione del debito? Quello dei diritti? Quello storico riguardante il debito della Germania dopo la guerra?

Domanda (Carlo): Potremmo acquisire terre e beni di produzione che possano diventare beni comuni per le comunità locali in maniera diffusa e dunque non contaminabili dal capitale? 

Riccardo: quali politiche 

Andrea:

Tutto si può cambiare se c’è la volontà politica.

Finance Watch: osservatorio nato dal un appello di 150 parlamentari europei di tutti gli schieramenti, che denucnaivano la minaccia rappresentata dalla fiinanza per la democrazia. Se si deve discutere di finanza non si tiene fuori dalla porta la lobbistica ma dall’altro lato del tavolo non c’è nessuno.

Oggi passiamo dalla politica allo sport saltando le pagine dell’economia, capirne l’imprtanza e quanto dipenda da ognuno di noi è imprtante per aprire spazi politici e farla diventare un argomento prioritario di discussione.

Marco:

La Cassa Depositi e Prestiti è un altro strumento utilizzabile: serviva per raccogliere i risparmi dei cittadini e prestare soldi a tasso agavolato agli enti locali (fino agli anni 70 era l’unica forma ammessa di finanziamento).

Poi è stata privatizzata. Se i cittadini si organizzassero per raccogliere il risparmio e decidere in modo democratico cosa farne si creerebbe un circuito virtuoso inimmaginabile. Perché CDP torni e migliori rispetto a quello che era si può ripensare la finanza sociale, puntando sul pareggio di bilancio ecologico e di genere e non solo finanziario.

Ci sono due proposte di legge sul tema che danno l’idea di cosa potrebbero essere i territori e riorientare le politiche in senso sociale e ecologico.

La pandemia è una biforcazione storica, è come il 1989 per il socialismo reale. O si abbandona il modello o ci troveremo fra qualche anno con un  modello capitalistico, poltiche liberiste e di austerità, ma in un clima autoritario. 

Gli Eurobond non sono meglio del ricorso al MES [due alternative che animano il dibattito politico], la metà della popolazione è costretta in cassa e si discute degli strumenti. In realtà vanno rimossi i vincoli considerando l’ecezionalità della situazione. La platea di persone curiose forse si allargherà quando si comincerà a sperimentare sulla nostra pelle il fallimento di questo sistema? Oppure rischiamo di perdere il treno…

Sulla domanda: se esiste un futuro per l’Europa? 

Si deve distinguere Europa e UE. La prima ha un futuro solo se si libera dall’oligarchia che la sta governando. Se la dimensione europea è imprtante si deve ribaltare l’istituzione europea come un calzino.

Andrea: lo statuto della bce impedisce l’acwquisto dei titoli sul mkt primario, ci vuole una forza sufficiente per ribaltare questi dogmi e impedire che la discussione non si chiuda passata l’emergenza.

Chiusura

Posto che dobbiamo trovre risorse per politche sociali, sostegno al reddito, rilancio economico ecc

Quali politiche alternative vogliamo proporre? Quali sono le possibiltà per reperirle?